Intervista a Davide Mazzanti.
In campo oltre l’emergenza. Alleno l’Italia dei giovani talenti
di Federico Temperini
Classe 1976, Davide Mazzanti ha mosso i primi passi nel mondo della pallavolo allenando le squadre giovanili di Marotta di Mondolfo, suo paese di origine in provincia di Pesaro e Urbino. Dopo varie esperienze con compagini marchigiane, nel 2005 è entrato nello staff tecnico della nazionale. A livello di club ha vinto tre scudetti con Bergamo, Casalmaggiore e Conegliano oltre a una Coppa Italia e a due Supercoppe italiane. Dal 2017 guida la nazionale di pallavolo femminile con la quale ha conquistato – fra l’altro – l’argento ai Mondiali in Giappone del 2018 e l’oro agli Europei del 2021.

Davide Mazzanti – Credit Foto: De Sanctis/FIPAV
Mazzanti, partiamo da quel 4 settembre 2021. Italia campione d’Europa di pallavolo in casa della favorita Serbia che, un mese prima, ci aveva estromesso dalle Olimpiadi di Tokyo e nella finale dei mondiali ci aveva sconfitto al tie break. Come è stato possibile?
«È stato un percorso tosto. A Tokyo, nel giro di pochissimo, soprattutto dopo la partita con la Cina (sconfitta netta per 3 a 0 dopo aver dominato i tre incontri precedenti ndr) abbiamo perso la consapevolezza di quello che fosse il nostro reale valore e la delusione che portavamo dentro era immensa. Agli europei a livello di squadra ho cambiato poco, sono stato solo più chiaro nelle gerarchie. Con lo staff abbiamo cercato di far riacquistare alle ragazze fiducia nelle proprie capacità e da lì siamo ripartiti».
A caldo, subito dopo la finale, ha dichiarato: “Sto vivendo una sensazione strana, di profondo rispetto per l’avversario”. Una frase forse controcorrente nel mondo di oggi…
«La vittoria di Belgrado è stata magnifica anche per tutto quello che avevamo vissuto con la Serbia. Personalmente non avevo uno spirito di rivalsa per le sconfitte precedenti ma prevaleva l’idea di aver fatto un bel percorso insieme. La parola rispetto è stata quella che mi è venuta in mente per prima e che mi portavo dentro da tutta l’estate».
È più il rimpianto per la mancata medaglia di Tokyo o la gioia per la vittoria all’Europeo?
«Sono due cose diverse che non riesco a paragonare. La gioia per l’Europeo è grande così come rimane intatta la delusione per le Olimpiadi».
Dopo due settimane anche la nazionale maschile – che come voi era arrivata sesta alle Olimpiadi – ha vinto l’Europeo. È solo una coincidenza o c’è dell’altro?
«Credo sia soprattutto la conferma che si può vincere in modi diversi. Noi lo abbiamo fatto con lo stesso gruppo che veniva da una forte delusione mentre loro sono passati attraverso un nuovo allenatore e un gruppo rinnovato che voleva affermarsi».
Qual è l’approccio delle nuove generazioni con lo sport?
«Rispetto al passato i giovani di oggi sono più orientati e conoscono già molto dello sport che vogliono praticare. La cosa difficile è come vivono lo sport. Come detto esistono più modi per vincere ma esiste un solo modo di fare sport. Ed è quello di cercare di eccellere e di superare se stessi. L’avversario è il mezzo per capire a che punto sei arrivato. Al contrario, troppo spesso nei confronti dei più giovani passa un messaggio differente, quello di vincere a tutti i costi, generando uno stress che non reputo sia sano».
Dopo lo stop imposto dal Covid, il 2021 per lo sport italiano è stato un anno incredibile con vittorie in molteplici discipline. Da addetto ai lavori c’è una spiegazione logica?
«Credo vi siano due motivazioni. Innanzitutto la società sta diventando molto selettiva il che condiziona anche lo sport portando le eccellenze ad esprimersi prima ai massimi livelli. Nella pallavolo, per esempio, abbiamo atlete di alto livello già a 19 anni e mezzo quando, fino a dieci anni fa, in serie A arrivavano a 22 anni. Questo, naturalmente, favorisce il lavoro di noi allenatori. E poi perché nelle difficoltà noi italiani siamo sempre bravi a metterci una pezza. Magari non siamo bravissimi nell’organizzazione ma nelle emergenze tendiamo a dare il massimo, e così è successo con la pandemia».
In un mondo che è solo bianco e nero, ha definito lo sport la tavolozza dei grigi…
«Sì, perché chi perde viene definito un fallito: o sei giusto o sei sbagliato, o sei bianco o sei nero. Ma non è così, non è il risultato a dire cosa sei e soprattutto chi sei. Oggi fare l’atleta è difficile perché vieni sottoposto a un ribaltamento dei valori in campo. Ciò che era speciale è diventato normale, si confonde l’avere con l’essere. Però successo e sconfitta sono figli della stessa fatica, passione e desiderio. L’arte di chi fa sport è di vedere quando è nero un po’ di bianco e quando è bianco un po’ di nero. E mescolando questi due colori esce il grigio».
La sua nazionale, giovane vincente e multietnica, può essere l’Italia del futuro?
«È l’Italia del presente. Quando sono diventato commissario tecnico tutti ci dicevano che potevamo essere la nazionale del futuro ma alle ragazze, da subito, ho detto che eravamo pronti per fare grandi cose. Penso che l’Italia di oggi sia questa, abbiamo giovani talentuosi con radici profonde che vengono da lontano ma oramai fanno parte di noi, dei nostri territori, e arricchiscono il nostro percorso».

Paola Egonu Italia – Serbia, Finale europei 2021 Belgrado
Credit Foto: Galbiati/FIPAV

Ofelia Malinov, Italia – Serbia, Finale europei 2021
Credit Foto: Galbiati/FIPAV

L’esplosione di gioia delle azzurre alla vittoria del campionato europeo
Credit Foto: Galbiati/FIPAV

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Il capitolo iniziale è un doveroso omaggio al maestro Pepi, scomparso all’inizio del 2021. Sono riproposti alcuni dei suoi magistrali scatti in bianco e nero divenuti famosi in tutto il mondo. Immagini che ci rimandano a un tempo antico, come l’ascensione, nel 1953, da parte della guida alpina Enrico Rey della vetta del Dente del Gigante. E a un’Italia che non c’è più, come quella del 1965 in Piazza Navona a Roma, dove dei ragazzini sfidano a pallone degli adulti in giacca e cravatta.